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Made in Italy: 120 miliardi di mancato incasso per gli imprenditori italiani

Cresce il Made in Italy ma troppe aziende sono indietro nell’E-COMMERCE: però LE SOLUZIONI CI SONO. Il passaggio al digitale e a nuovi modelli di business non può più attendere

Una vecchia indagine commissionata, anni prima della pandemia, da Google a Doxa Digital evidenziava come fosse modesto il livello di digitalizzazione delle piccole e medie imprese (PMI) che erano, e sono, il fulcro portante dell’economia italiana con 8 occupati su 10 impegnati in aziende con meno di 50 dipendenti pur producendo quasi i 3/4 del fatturato produttivo del nostro Paese. Digitalizzazione che, seppur in continua crescita negli ultimi anni anche per la spinta proprio dalla pandemia, continua a non essere allo stesso livello degli altri grandi paesi europei e degli Stati Uniti.

Eppure digitalizzazione significa, anche, esportare e quindi internazionalizzare il proprio business con un marchio, quello del Made in Italy considerato sinonimo di qualità in tutto il mondo. Made in Italy che, secondo il rapporto ICE 2021 (l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane), sviluppato dal Politecnico di Milano proprio nel periodo pandemico, è andato incontro a una forte crescita con un aumento notevole dell’export italiano, che è arrivato a intorno ai 500 miliardi di euro di fatturato (dati 2021).

Crescita che, nonostante le difficoltà e la generale incertezza dovuti alla situazione attuale, dovrebbe stabilizzarsi su ritmi più contenuti ma con scambi internazionali comunque in aumento, secondo alcune stime, di un ulteriore 10 per cento ma che, purtroppo, deve combattere anche contro il falso Made in Italy che ha raggiunto, nel solo comparto agroalimentare, un valore di oltre 120 miliardi di euro. Lo ha reso noto Coldiretti, durante la settimana dell’Anticontraffazione dal Ministero dello Sviluppo economico: per colpa del cosiddetto “italian sounding” nel mondo oltre due prodotti agroalimentari tricolori su tre sono falsi senza legami produttivi ed occupazionali con il nostro Paese.

Il mercato globale ha come elemento imprescindibile dell’export il digitale, che consente di proporre e soprattutto vendere i propri prodotti su scala internazionale integrando locale e globale aiutando anche a contrastare i falsi prodotti italiani ma affermando, invece, le proprie eccellenze e il proprio marchio. La digitalizzazione ha quindi assunto un peso fondamentale per qualsiasi strategia di espansione aziendale, che sia essa indirizzata al B2B online (business to business) o al B2C (business to consumer) ma che, pur in aumento, interessa ancora una quota minoritaria di aziende italiane.

Il nostro export sembra restare ancora molto legato all’offline o perlomeno privilegiare i canali tradizionali come importatori, distributori o reti di vendita fisiche. L’adozione, tardiva rispetto ad altri paesi, di strategie di export online mediante l’e-commerce (diretto o mediante piattaforme) colloca le PMI italiane ancora indietro.

Anche Veronica Pitea, presidente ACEPER, sottolinea questo aspetto: “Vedo ancora troppe aziende prive di sito web e ancora di più senza e-commerce. Non si deve restare indietro. La digitalizzazione è un processo fondamentale per le piccole, medie e grandi imprese che devono competere e imporsi sul mercato. Occorre far evolvere la propria realtà efficientando l’azienda attraverso la tecnologia e il marketing. La mancata presenza online delle nostre aziende lascia spazio al mercato fake che è ormai arrivato a numeri da capogiro, facendo perdere importantissime fette di mercato al Made in Italy e, soprattutto, de-valorizzando i nostri prodotti artigianali, il nostro know-how, sminuendo la tradizione e il lavoro di chi, seppur con strumenti meno evoluti, per anni ha portato con grande fatica i nostri marchi di eccellenza oltre confine.”

I nuovi modelli di business fanno sempre più leva, e in alcuni casi non possono farne a meno, di digitale sia per la vendita, attraverso le piattaforme di e-commerce, sia per la comunicazione, attraverso web, social media e canali di marketing digitale. L’internazionalizzare ma anche la diffusione a livello nazionale passa proprio per questi canali. La mancanza di consapevolezza, da parte delle PMI italiane, della necessità e dei benefici della digitalizzazione sembra essere di carattere culturale, non solo in termini di competenze manageriali od operative ma, anche o soprattutto, di conoscenza delle opportunità offerte dalla digitalizzazione alle imprese.

Un gap culturale che si sta colmando ma che potrebbe essere dovuto alla necessità di figure professionali ad hoc, con specifiche competenze strategiche ed operative. Su questo viene in aiuto la Formazione 4.0 che promuove, mediante crediti d’imposta, l’aggiornamento professionale (interno o esterno all’azienda) del personale aziendale proprio su digitalizzazione e nuove tecnologie di cui parla in questo numero l’articolo a cura del Centro Sviluppo Brevetti.

Anche la presidente ACEPER lo ribadisce: “La formazione è sempre alla base dello sviluppo e della crescita aziendale. Bisogna utilizzare gli strumenti disponibili per essere sempre competitivi sui mercati. La Formazione 4.0 è uno di questi strumenti”.


Tratto dalla rivista Green Company Magazine (volume 9) – vedi anche tutti i numeri della rivista