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Il Santo Graal dell’Energia Vitale

Parlare di “Energia Vitale” in una rivista incentrata sulle rinnovabili e poi analizzare il ruolo che petrolio, gas naturale e carbone hanno nel contesto globale, può apparire una contraddizione, eppure in questo articolo proveremo a farlo in maniera interdisciplinare, cercando di capire quanto il modello economico e finanziario internazionale sia assolutamente interconnesso alle risorse energetiche su cui si poggia e che parlare di fonti alternative senza considerarne gli impatti sulla crescita e sulla prosperità nel suo complesso rischia di essere un esercizio sterile se non controproducente.

Partendo dalla madre di tutte le materie prime non rinnovabili, ricordiamo che il petrolio fu utilizzato dall’uomo sin dall’antichità per alimentare lampade, per produrre bitume e medicinali, ma anche brutalmente per scopi bellici, in quanto una miscela di petrolio e catrame veniva incendiata e cosparsa sulle frecce e sui dardi sparati con le catapulte. Ma il vero salto di qualità “l’oro nero” lo ha fatto dopo l’invenzione del motore a scoppio. Anche se in molti pensano a Benz, furono gli italiani Eugenio Barsanti e Felice Matteucci, un fisico ed un ingegnere, i “2 Papà” del motore a propulsione interna già nel lontano 1853, ma si erano dimenticati un pezzo, ovvero la decompressione. Per questo alcuni anni più tardi nel 1886, proprio Benz insieme a Nikolaus Otto lo perfezionarono facendo partire la più grande rivoluzione per l’umanità dalla scoperta del fuoco e della ruota. Il petrolio non si è più solo bruciato, ma è diventato il vero e proprio perno dell’economia mondiale. Infatti per produrre gli alimenti di cui ci nutriamo abbiamo bisogno di concimi e pesticidi derivati dal petrolio; quasi tutti i materiali da costruzione che usiamo: cemento, plastiche, corde sono derivati dai combustibili fossili, così come la stragrande maggioranza dei farmaci con cui ci curiamo. Moltissimi degli abiti che indossiamo sono realizzati con fibre sintetiche petrolchimiche.

Il riscaldamento nelle nostre abitazioni e soprattutto l’energia elettrica che alimenta il complesso tecnologico che ormai ci avvolge 24h su 24h, dipendono in larghissima misura dai combustibili fossili. Ma se non ci fossero stati i motori a scoppio, con ogni probabilità tutto questo circo non sarebbe mai esistito! Non c’è da stupirsi quindi se la maggior parte dei conflitti nel mondo abbia luogo proprio in paesi ricchi di queste risorse così preziose.

Abbiamo costruito un’intera civiltà sulla riesumazione di depositi di materiale organico che ha impiegato milioni di anni per formarsi e pochissimi decenni per essere consumato. Ma cerchiamo di capire perché ancor oggi a quasi 200 anni di distanza da quelle scoperte, gli idrocarburi svolgono un ruolo così importante nelle nostre vite e soprattutto siano ancora il comburente principale di ogni attività economica umana. Già Marx a fine ‘800 aveva intuito che il sistema capitalistico si poggia sull’approvvigionamento di manodopera ed energia a basso costo, e questo è emerso in maniera evidente negli anni ‘70 del secolo scorso con lo scoppio della crisi petrolifera e milioni di persone costrette a girare in bicicletta nel bel mezzo di un terremoto economico e finanziario. Ma qual è il ruolo che gioca l’energia nel contesto globale? Vitale appunto! Il PIL di una nazione altro non è che l’insieme dei beni e dei servizi prodotti e consumati in quel paese, più gli investimenti pubblici e privati al netto dell’Import-Export. E la crescita del PIL è il mantra che ripetono economisti e finanzieri fino allo sfinimento. Se volessimo passare dal macro al micro, per capire come le aziende producono valore aggiunto e quindi ricchezza da poter redistribuire ai cittadini, bisogna capire che cos’è il MOL, ovvero il Margine Operativo Lordo e che relazione esso abbia con l’energia. Il MOL, anche se sembra una sigla incomprensibile, si realizza semplicemente per differenza tra costi e ricavi. Dunque capire quali sono le macro aree su cui gli imprenditori ed i governi possono agire per far crescere l’economia è fondamentale. Non me ne vogliano economisti ed esperti di revisione contabile ma proverò a semplificare al massimo per essere il più chiaro e semplice possibile.

Dunque dal lato dei costi, le leve principali a disposizione per chi fa impresa, sono: la manodopera (ovvero il costo del lavoro), il livello di indebitamento ed il tasso di interesse applicato, le tecnologie produttive, le altre materie prime necessarie a far funzionare gli impianti e appunto l’energia. Ci sarebbero anche le imposte, che più sono basse meglio è, ma evitiamo di aprire vasi di Pandora. Con la globalizzazione e l’espansione economica dell’ultimo decennio post Lehman, le prime due leve sono state portate al massimo della loro capacità. Da un lato delocalizzando a partire dagli anni ’90, in paesi emergenti, il cui costo del lavoro è decisamente inferiore a quello occidentale, ma che da tempo ha cominciato a rialzarsi anche lì. Dall’altro con tassi di interesse portati sotto zero dopo la crisi dei subprime e che anch’essi si stanno alzando insieme all’inflazione in questi ultimi mesi. Le tecnologie produttive hanno fatto grandi progressi, ma moltissime sono ancora quelle inventate nel ‘900 (macchinari, materiali, componenti ecc.) e legate, come detto, all’uso degli idrocarburi, che pur avendo aumentato la loro efficienza si stanno ormai avvicinando ai limiti fisici legati alle leggi di Levoisier. Per quanto riguarda i ricavi le due leve principali sono il prezzo e la domanda, quanto più si riesce a vendere a prezzi elevati e con numeri crescenti tanto maggiore è il margine che si può realizzare; ma in un contesto di guerra e pandemia con petrolio e gas alle stelle, crescere è tutt’altro che scontato. E qui entra in gioco appunto il costo e l’efficienza energetica che non solo è il propulsore della produzione, ma anche il carburante che permette di far viaggiare merci e prodotti a basso costo in giro per il pianeta.

È intuitivo ora comprendere quanto sia vitale una disponibilità di energia efficiente e sostenibile per alimentare tutti i processi industriali e soprattutto per la loro commercializzazione a prezzi bassi e stabili. Questo passaggio è fondamentale perché senza idrocarburi non sarebbe disponibile gran parte del cibo che mangiamo, prodotto con trattori che coltivano e raccolgono i frutti della terra grazie ai fertilizzanti, da essi derivati, che la sostentano. Senza petrolio non potremmo portare merci da un luogo all’altro del pianeta con le navi container e che sono alla base della globalizzazione. Non potremmo scaldare le nostre case ed illuminarle. Non riusciremmo a far andare i miliardi di autovetture che ci portano da un luogo ad un altro in poche ore, così come non potremmo viaggiare in aereo. Anche le tanto decantate auto elettriche necessitano di energia che come vedremo è ancor oggi largamente dipendente dai combustibili fossili. Insomma senza questo tipo di energia immagazzinata nelle viscere della terra grazie a milioni di anni di processi chimici, tutto quello che ci circonda sarebbe molto più difficile da ottenere, se non impossibile. Si fa un gran parlare di rivoluzione ecologica e transizione energetica, ma è curioso constatare che a livello globale il ruolo maggiore nella produzione di energia elettrica mondiale lo giochi ancora il carbone, che in termini assoluti ha consolidato nel tempo il suo primato, anche se dal 2008 la tendenza a crescere si era attenuata rispetto al decennio precedente. L’effetto di questo rallentamento lo si è visto nei valori relativi, dove il carbone è passato dal picco del 41,2% nel 2007 ad un ancora incredibile 35,6% del 2021, carbone che è utile ricordarlo, è uno dei combustibili più inquinanti al mondo! Ancor oggi nonostante tutti i summit internazionali ed i proclami degli ultimi decenni, 2 nazioni (Cina e USA ndr) sono responsabili per oltre il 50% delle emissioni totali di gas serra e nonostante gli innegabili progressi circa l’efficientamento energetico soprattutto in Europa, la strada da fare è ancora molto lunga e dipende in larghissima misura dalle decisioni che verranno prese proprio ad Est e ad Ovest.

Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e nella generale confusione risultata dagli aumenti dei prezzi del petrolio e del gas, le soluzioni proposte per il problema dell’energia si sprecano. Ognuno ha la sua formula magica, chi è per l’idrogeno, chi per le rinnovabili, altri puntano al nucleare, alcuni come Francia, Italia e Germania per superare il guado, hanno riportato in auge, addirittura il famigerato carbone.

Il solare resta comunque in prima posizione sebbene implichi problemi legati alla stabilità e stagionalità di generazione ed alla sua distribuzione nonchè implicitamente alla geopolitica. Infatti gran parte delle aziende che producono i pannelli solari nonchè le materie prime necessarie per costruirli sono in mano alla Cina. Insomma una gran confusione accentuata dai media che ingolfano le capacità di comprensione della gente, che spesso reagisce facendosi prendere dall’entusiasmo per l’ultima novità (confinamento magnetico), oppure si abbandonano ad un generale scetticismo che porta apatia e immobilismo, fino all’estremo di chi nega del tutto il riscaldamento climatico. Ancora in pochi invece si interrogano sugli impatti di natura macroeconomica di questa transizione quasi che parlare di azzeramento della CO2 e riduzione dell’inquinamento possa astrarsi dalle conseguenze di natura finanziaria di questa seppur nobilissima causa. Ma esiste un parametro oggettivo in grado di dirci qual è la migliore strada da perseguire? Si può trovare un criterio scientificamente ma soprattutto economicamente, robusto per prendere delle decisioni in termini energetici? Sì, esiste, e si chiama “Ritorno Energetico sull’Investimento Energetico,” ovvero quello che gli anglosassoni chiamano “Energy Return On Energy Invested”. L’EROEI è il rapporto fra l’energia che un impianto produrrà durante la sua vita attiva e l’energia che è necessaria per costruirlo, mantenerlo, ed infine smantellarlo. Siccome l’energia è una grandezza fisica, non è influenzabile dalle follie umane o dagli artifici della finanza quali i tassi d’inflazione, quelli di sconto, le manipolazioni dei prezzi di mercato, e via discorrendo. Come abbiamo descritto prima, l’energia è il bene primario per lo sviluppo della società e dell’economia umana ed influenza il MOL e quindi in aggregato il PIL in maniera fondamentale. Dunque se un impianto riporta un utile, ovvero un EROEI maggiore di 1, possibilmente ben maggiore di 1, sarà un buon investimento per la società e l’economia nel suo complesso. Il termine “EROEI” comincia ad essere utilizzato sempre più di frequente in campo energetico ed in effetti, coglie un punto fondamentale che finora non era stato sufficientemente enfatizzato: il fatto che un investimento in questo ambito ha senso soltanto se l’energia che viene prodotta durante la sua vita attiva è superiore a quella che è stata necessaria per costruirlo al netto di incentivi fiscali e aiuti di Stato. Inoltre va considerato, se pur producendo EROEI positivo la sostituzione di settori economici legati alle vecchie fonti fossili, è anch’esso positivo, altrimenti bisogna pensare con cosa sostituire quel pezzo di economia mancante a meno di accettare una disoccupazione crescente e rigida. Il petrolio ha un indice di EROEI che ha oscillato storicamente tra un minimo di 20 ed un massimo di 100 ma si sta abbassando velocemente, mentre ad oggi molte delle fonti alternative non superano il 10. Ed è proprio su questo punto che andrebbero concentrati gli sforzi nei prossimi anni, poichè una transizione ecologica e quindi energetica che non tenga conto in modo puntuale di questi elementi, inclusi tutti i risvolti etici ad essa associata, è destinata a produrre molti effetti indesiderati sul PIL che potrebbero minarne la sostenibilità nel suo complesso.

Occupandomi di economia e finanza lascio ai tecnici e agli ingegneri un approfondimento sugli aspetti di efficienza energetica legati alla transizione in atto, che se non parametrati correttamente, potrebbero generare esternalità molto negative. Ma di certo il dibattito è ancora apertissimo e come direbbero gli Americani “The Jury is out”. Perché di transizione energetica si può e si deve parlare ed è anzi arrivato il momento di agire, purchè tutto questo sia legato a doppia mandata ad un’energia sostenibile e soprattutto “Vitale”!

Alex Ricchebuono – www.ricchebuono.com

Ha oltre 24 anni di esperienza nel settore dell’Asset Management ed ha ricoperto ruoli di responsabilità per lo sviluppo commerciale a livello europeo in società di primaria importanza tra le quali: Credit Suisse, Janus Capital, American Express e Bnp Paribas. È stato tra i soci fondatori dell’Associazione Italiana del Private Banking e membro del primo consiglio di amministrazione. Vive e lavora tra Milano e Londra ed è Partner di New End Associate, piattaforma Inglese per la distribuzione di alcuni dei più importanti gestori alternativi internazionali. Scrive libri e articoli sulla storia della finanza ed è appassionato di storia economica ed evoluzione della Moneta. Ha realizzato una serie di video pillole per Il Sole 24 Ore dal titolo “I soldi Raccontano”. Ha inoltre condotto per la Radio Televisione Italiana il documentario in 4 puntate Money Art andato in onda su RAI 5, nel quale ha raccontato gli intrecci tra il mondo della finanza e quello dell’Arte. È un grande collezionista di documenti legati alla storia economica e del denaro.


A cura di Alex Ricchebuono

Tratto dalla rivista Green Company Magazine (volume 7) – vedi anche tutti i numeri della rivista.