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La nuova disciplina dei contratti a termine e l’obbligo di introdurre un canale di segnalazione (“Whistleblowing”)

Il diritto del lavoro è oggetto di ricorrenti interventi legislativi e questi primi mesi dell’anno ci portano in dote due misure, tra le altre, sulle quali sono chiamate a misurarsi le imprese nella gestione delle risorse umane.

Il riferimento è alla procedura di “whistleblowing”, che coinvolge le imprese con 50 o più dipendenti, e all’alleggerimento dei vincoli sulle causali dei contratti a tempo determinato, di cui le imprese potranno avvantaggiarsi ritagliando i “casi” di ricorso al termine di durata sui propri bisogni aziendali.

La procedura di whistleblowing è stata introdotta con Decreto Legislativo 10 marzo 2023 n. 24, che ha previsto l’obbligo di istituire un canale di segnalazione cui possono rivolgersi le persone che, in un contesto lavorativo, siano venute a conoscenza di comportamenti, atti e omissioni che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’impresa (es. illeciti amministrativi, contabili, civili e penali).

Il riferimento più immediato è ai lavoratori dipendenti e ai collaboratori che nell’impresa rendono la propria attività lavorativa, ma sono inclusi tutti i soggetti che, a vario titolo, vengono a conoscenza di condotte illecite riconducibili al perimetro aziendale. L’obbligo di attivare il canale interno per le segnalazioni investe non solo le imprese con almeno 50 dipendenti, tra cui sono inclusi i lavoratori a termine, ma anche le imprese minori che operano in settori regolamentati (bancario, assicurativo, etc.).

La procedura deve soddisfare condizioni specifiche, tra cui la possibilità di effettuare segnalazioni in forma scritta, incluse le modalità informatiche, ovvero in forma orale, attraverso linee telefoniche o sistemi di messaggistica vocale. Su richiesta del segnalante, dovrà essere organizzato un incontro diretto. La segnalazione deve essere gestita da una persona o ufficio autonomo adeguatamente formati (possono essere persone interne o incaricati esterni). Entro 7 giorni deve essere rilasciato un avviso di ricevimento alla persona segnalante, alla quale entro il successivo termine di tre mesi deve, infine, essere comunicato l’esito delle indagini.

La procedura di segnalazione deve garantire che non sia rivelata l’identità del segnalante senza il suo consenso, né possono essere promosse azioni disciplinari nei confronti della persona segnalata se la contestazione di addebito comporti la necessità di rivelare l’identità del segnalante e quest’ultimo non presti il suo consenso. È previsto il divieto di atti ritorsivi nei confronti del segnalante e sono richiamate, in proposito, alcune situazioni specifiche tra cui il licenziamento, la mancata promozione, la dequalificazione e il mancato rinnovo del contratto a termine.

L’impresa deve istituire uno spazio (possibilmente sul sito web o nella intranet aziendale) in cui i lavoratori possono reperire tutte le informazioni sui presupposti per la segnalazione e sul funzionamento della procedura. Una informazione preventiva deve essere data anche alle associazioni sindacali e il datore deve rendersi disponibile alla consultazione.

I tempi per attivare il canale di segnalazione sono stretti: 15 luglio per le imprese con almeno 250 dipendenti e 17 dicembre per tutte le altre (50 o più dipendenti).

La raccomandazione è di non prendere sottogamba la procedura, perché sono previste sanzioni pecuniarie pesanti (da €10.000 a € 50.000) se non è attivato il canale di segnalazione o, quand’anche istituito, non sono osservate le condizioni della procedura (es. omesse indagini, ostacolo alla segnalazione, violazione degli obblighi di riservatezza).

Non meno rilevanti sono le novità sul contratto a termine introdotte dal Decreto Lavoro (D.L. 4 maggio 2023 n. 48). All’esito di un percorso riformatore avviato con la Legge Fornero (L. 92/2012) e portato a compimento dal Jobs Act (in particolare, il D.Lgs. 81/2015), le imprese avevano avuto libero accesso ai contratti a termine senza necessità di fare indicazione di specifiche causali per 36 mesi massimi di durata.

A distanza di pochi anni il paradigma è stato rovesciato e si è previsto che le imprese potessero continuare ad utilizzare il contratto a termine oltre i 12 mesi (ovvero con il primo rinnovo, se precedente) solo per altri 12 mesi e in presenza di vincoli molto severi, collegati ad improbabili incrementi “significativi e non programmabili”, ovvero ad esigenze temporanee “estranee all’ordinaria attività”.

Il ricorso al contratto a termine è divenuto sostanzialmente inutilizzabile dopo il primo anno e i datori hanno spesso preferito sopportare i costi di un costoso “turn over” dei lavoratori per continuare ad utilizzare il contratto a termine senza i pesanti rischi legati ad un contenzioso giudiziale.

Il Decreto Lavoro cerca di invertire questa tendenza e opera una (parziale) marcia indietro, eliminando le vecchie causali e introducendo la facoltà di prevedere tramite accordi collettivi “i casi” in cui sia possibile utilizzare il contratto a termine dopo i primi 12 mesi.

È una svolta interessante, perché alle imprese viene consentito di concordare a livello aziendale le esigenze specifiche in cui possono continuare ad utilizzare il contratto a termine dopo i primi 12 mesi (ma nel limite di 24 mesi, che resta). Le “best practice”, tra cui vanno annoverati alcuni accordi di prossimità aziendali tesi a disciplinare il ricorso al contratto a termine senza i rigidi vincoli di legge, ci hanno offerto esempi virtuosi di causali concordate a livello collettivo, tra cui “le attività derivate da richieste del mercato”, “l’apertura di un cantiere”, “proroga di un appalto”, “manutenzione delle macchine”, “introduzione di un cambiamento tecnologico”, “assunzione di disoccupati o cassintegrati”, “acquisizione di una commessa”.

Non ci sono limiti ai “casi” che i datori di lavoro possono concordare con le rappresentanze sindacali in azienda e le imprese possono, quindi, ritagliare gli accordi su misura delle proprie necessità, andando ad individuare i bisogni aziendali effettivi che le autorizzano ad utilizzare i contratti a termine fino al limite temporale massimo di legge.


L’Avvocato Bulgarini d’Elci è Partner nel Dipartimento di Diritto del Lavoro. La sua pluriennale esperienza spazia nei vari ambiti del diritto del lavoro e del diritto sindacale, ivi inclusa la gestione del contenzioso in materia di licenziamenti individuali e collettivi, di trasferimenti e sospensioni del rapporto, alle controversie in tema di qualifica e mutamento di mansioni, di procedimenti disciplinari, di violazione del patto di non concorrenza e storno dei dipendenti.


A cura di Giuseppe Bulgarini d’Elci – Founder dello Studio Legale Patrizio – www.wfw.com


Tratto dalla rivista Green Company Magazine (volume 11) – vedi anche tutti i numeri della rivista